Eccoci arrivati all’ultima parte del viaggio sensoriale nella storia dell’Espresso Italiano, esperienza che grazie a Nadia Rossi abbiamo avuto la possibilità di effettuare all’interno dello stand di Caffè Milani durante l’ultima edizione della Fiera Host.
Dopo avervi raccontato l’assaggio del Caffè Espresso estratto con la macchina a vapore degli inizi del 1900 e quelli degli anni ’50 preparati con una macchina a leva Gaggia originale dell’epoca, andiamo avanti fino al 1961 quando Ernesto Valente progetta per Faema la E61, la macchina a erogazione continua che prende il nome dall’eclissi solare avvenuta in quell’anno.
Questa geniale invenzione per il mondo del caffè adotta una pompa volumetrica (in sostituzione alla molla di compressione della macchina a leva) che permette di preparare un espresso perfetto in semplicità. Muovendo una levetta o premendo un tasto si aziona un motore elettrico collegato a una pompa che porta la pressione dell’acqua a 9 bar, mantenendola costante durante l’intero processo di erogazione.
La macchina espresso è spesso spostata dal bancone al retrobanco; il cliente può seguire la manualità del barista durante la preparazione del caffè.
La miscela utilizzata per la prima volta contiene una piccola presenza di caffè Robusta per rispondere alla richiesta di tanti clienti provenienti dal Sud d’Italia e abituati a gusti più intensi e alla presenza di questa specie di caffè nelle miscele. La tazzina si presenta con un buon corpo e un profilo aromatico molto piacevole.
Se volete scaricare il Pdf del libretto che accompagna la degustazione storica lo potete fare cliccando QUI.
Vi lasciamo ad alcune pillole storiche ringraziando Nadia Rossi e Caffè Milani per la condivisione.
In Italia negli Anni Sessanta, i caffè Arabica brasiliani naturali costituiscono la principale base delle miscele; i primi dati relativi al loro impiego indicano un 69% del totale dei caffè importati, mentre i Robusta pesano per il 20%. Oltre al Brasile, tra i principali esportatori del decennio figurano Colombia, Costa Rica, Messico e Uganda.
L’industria del caffè dell’Europa continentale è in crescita. I principali torrefattori europei dominano la scena e le nuove macchine per espresso sono molto diffuse nei caffè di Parigi, Vienna, Amsterdam e Amburgo. L’abitudine di tostare il caffè in casa scompare; si compra per lo più caffè in grani macinato al momento dell’acquisto.
Negli Stati Uniti, i principali operatori del caffè vengono acquisiti dai grandi colossi del Food, quali General Foods e Procter&Gamble. Le politiche aggressive di marketing delle organizzazioni internazionali spostano il focus dal prodotto tout-court al prezzo, al packaging e alla fidelizzazione del marchio. Cambia il concetto di qualità del prodotto, non più indice della ricchezza aromatica e della bontà delle materie prime. La varietà robusta s’introduce progressivamente nelle miscele classiche, distribuite perlopiù nei supermercati insieme al caffè solubile e a quello liofilizzato.
A dare un importante segno di cambiamento di questa rotta in direzione della valorizzazione della qualità è l’olandese Alfred Peet che, nel 1966, apre il Peet’S Coffee & Tea, a Berkeley in California (USA). Gestisce un piccolo bar con sei sgabelli ed educa i clienti alla degustazione del buon caffè. Il successo è clamoroso, tra gli europei espatriati e le casalinghe e in breve tempo raggiunge il grande pubblico. Peet è considerato il “nonno” degli Specialty Coffee.
Il Giappone, famoso per la cerimonia del tè e da sempre curioso verso lo stile di vita occidentale, scopre il caffè dopo il 1950, quando le importazioni di caffè sono permesse ufficialmente: centinaia di kissaten (sale da caffè tradizionali) sorgono in varie città del paese.
In Australia si diffondono i caffè a conduzione perlopiù italiana. Come spesso accade, a diverse latitudini, la storia del caffè diviene storia di migrazione e d’integrazione fra culture.